L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, d’ora in poi ABTM, è uno dei prodotti più antichi e certamente il più tipico nel panorama delle produzioni agricole alimentari della provincia di Modena. Le sue origini non sono certe, qualcuno ipotizza che la sua nascita sia stata casuale: siccome il Balsamico Tradizionale deriva da naturale fermentazione ed acetificazione seguita da lungo invecchiamento di mosto d’uva cotto, appare lecito ipotizzare che il prodotto sia nato per caso dall’innescarsi di tali processi microbiologici in contenitori di mosto d’uva cotto (la saba, tipicamente usata nella cucina modenese e già conosciuta all’epoca romana ed impiegata come dolcificante, assieme al miele) e successivamente l’intervento umano abbia messo a punto la tecnica produttiva tutt’ora utilizzata.
“L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è ottenuto da mosto d’uva cotto, maturato per lenta acetificazione derivata da naturale fermentazione e progressiva concentrazione mediante lunghissimo invecchiamento in serie di vaselli di legni diversi, senza alcuna addizione di sostanza diverse. Di colore bruno scuro carico e lucente, manifesta la propria densità in una corretta e scorrevole sciropposità. Ha profumo caratteristico e complesso, penetrante, di evidente, ma gradevole ed armonica acidità. Di tradizionale ed inimitabile sapore dolce ed agro ben equilibrato, si offre generosamente pieno, sapido con sfumature vellutate, in accordo con i caratteri olfattivi che gli sono propri” (D.M. 09/02/87 relativo alla denominazione di origine controllata. Testo integrale ripreso dalla definizione dei maestri assaggiatori, marzo 1976).
UN PO’ DI STORIA
Non esistono documenti che certifichino con esattezza il periodo ed il luogo in cui l’Aceto Balsamico Tradizionale si sia originato. Prodotti ad esso assimilabili, mosti e aceti variamente miscelati, erano già variamente consumati nelle prime civiltà medio - orientali, nell’antica Grecia ed in Roma imperiale. Richiami all’impiego di aceti agrodolci si susseguono nei secoli; la letteratura antica ne fa ripetuti cenni affiancando ad essi avvenimenti e personaggi storici.
Con lo scorrere del tempo la spirale bibliografica tende a spostarsi tra Ferrara e Reggio Emilia facendo infine centro nella città di Modena. In essa, nel 1598, si trasferì da Ferrara la Corte Ducale Estense, ed è da tale ambiente che emergono le prime documentazioni in cui si fa precisa e dettagliata citazione dell’aceto balsamico.
Sembra quindi che la ricchezza ducale avesse prima gustato poi fatto proprio un prodotto del luogo, già esistente da tempo tanto da risultare maturo ed apprezzabile. Da allora l’Aceto Balsamico e la città di Modena proseguirono assieme il corso della storia. Il Balsamico diventa così qualcosa di definito, ancorato alla tradizione, un gioiello pregiato frutto di tecniche non più casuali, ma di operazioni curate e sistematiche.
Nel 1796 i francesi di Napoleone Bonaparte, occupata Modena, smantellarono le acetaie ducali vendendone i barili alle famiglie più facoltose della città. Questa imponderata divisione portò, con acceso senso di prestigio, il diffondersi dell’aceto balsamico in diverse abitazioni modenesi. Solo dopo il 1815 si riuscì in parte a ricostruire l’acetaia ducale. Gli anni successivi furono prolifici di documentazioni riguardanti il Balsamico; figura di spicco in tale periodo fu il Duca Francesco IV, che di questo aceto fu attento estimatore. Lo stesso sovrano Vittorio Emanuele II, accolto a Modena il 4 maggio 1859, rimase rapito dal “gioiello nero” trovato nei sottotetti del Palazzo Ducale. L’attrazione fu tale da spingere il Re ad ordinare il trasferimento dei barili migliori in Piemonte nel regio castello di Moncallieri. Di quelle botti non si ebbe più notizia. Nell’anno successivo, come unica coincidenza, l’esperto enologo Ottavio Ottavi chiese informazioni, all’ombra della Ghirlandina, presso Francesco Aggazzotti sul come condurre una acetaia (lasciando intuire che il nuovo ambiente stava inducendo lo spegnimento di quell’aceto così radicato in Modena). Prendendo spunto da un manoscritto di un anonimo del ‘700, l’Aggazzotti rispose con una lettera che diventò, in pratica, la base metodologica per produrre l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena.